Cronologia biografico-critica a cura di Mario Ghilardi
dalla monografia «Leonardo Spreafico» edito da Silvana Editoriale d'Arte
Monza: Villa RealeMonza: Villa Reale
L. Spreafico: Autoritratto

1907.


Nasce a Monza il 5 Novembre.

1919.


Suo incontro con A. Alciati (che spesso dipingeva nel parco di Monza). Sua vocazione all'arte.

1926.


Frequenta con successo l'Istituto Superiore d'Arte a Monza.

1927.


Militare di leva a Cuneo.

1929-1933.


Riprende gli studi all'Istituto Superiore di Monza sotto la guida di A. Alciati, F. Castelli, P. Semeghini, A. Martini, R. De Grada senior, M. Marini.

1932.


Spreafico con l'amico Buffoni apre lo studio a Milano. La prima importante affermazione in campo artistico è l'ammissione al concorso per le quattro pensioni di Stato, indetto dal Ministero dell'Educazione Nazionale.

1933.


Ottiene il diploma della Scuola Professionale Civica di Monza e, contemporaneamente, la cattedra di «Decorazione», che manterrà fino al 1936.
Intanto continua la sua ricerca, che non si adegua agli indirizzi ufficiali diretti del movimento «Novecento».
Dopo le grandi mostre del 1926 e del 1929 il Novecento, se non altro per l'autorità degli artisti che lo rappresentavano (Sironi, Marussig, Funi, Bucci, Oppo, Tosi), si era decisamente affermato anche perchè rispondente alle esigenze di un certo clima politico.
Ma ben presto, poichè il Novecento, rifiutando in blocco le ricerche e le conquiste formali delle avanguardie europee, pareva rinchiudersi in una sorta di provincialismo e di accademismo, si formarono gruppi «autonomi» di giovani (a Torino, nel 1929, il «Gruppo dei Sei»; a Roma, verso il 1930, Scipione, Raphael, Mafai). Edoardo Persico ne fu il critico e l'animatore, da lui venne lo stimolo alla formazione del gruppo dei cosiddetti «chiaristi».
Dal 1930 in poi si formarono il gruppo degli artisti milanesi e il gruppo di Como: si comincia a guardare all'Europa e Spreafico si trova a fianco delle nuove pattuglie artistiche. E' il tempo degli incontri con Broggini, Nivola, Pittino, Afro, Badodi, Musso: nasce il sodalizio cha ha sede in via Garibaldi 89 a Milano (gruppo «Garibaldi 89»), tanto importante nella battaglia per il rinnovamento dell'arte italiana.

1934.


Spreafico frequenta l'Accademia di Brera studiando contemporaneamente pittura, architettura, e interessandosi molto di arte applicata (arazzi, vetrate, ecc.) e, nel 1935, ottiene il diploma. Prime affermazioni in pubblici concorsi.

1935.


Soggiorna con gli amici Pittino, Afro, ecc. a Venezia ove, invitato alla Biennale, presenta «il racconto dello zingaro», opera che gli varrà l'interessamento di Carlo Carrà.

1936.


La giuria del concorso indetto dalla Società di Navigazione «Italia» per un grande pannello destinato alla stazione di New York presceglie a pari merito quattro bozzetti, uno dei quali è di Spreafico e di B. Buffoni.
L'affermazione frutta a Spreafico il suo primo viaggio e soggiorno all'estero: meta gli Stati Uniti d'America.
Ancora insieme a Buffoni riporta il primo premio alla VI triennale di Milano.

1937.


A Parigi collabora con M. Sironi, B. Buffoni, B. Guzzi, N. Strada, T. Mazzotti, F. Melotti, R. Romanelli all'allestimento del padiglione italiano alla Esposizione Internazionale di Parigi, al cui concorso di pittura partecipa con l'opera «Mezza figura», esposta nel solone d'onore, e premiata con la medaglia d'oro. Alla XX Biennale d'Arte di Venezia presenta un grande quadro: «Pittore di nudi».

Parigi: quartiere di Montmartre Parigi, Quartiere di Montmartre

1938.


Ottiene agli Istituti Educativi dell'Umanitaria di Milano la cattedra di «Composizione decorativa» che conserverà fino al 1943. L'Istituto Nazionale per le relazioni culturali con l'estero lo inviò quale consulente delle mostre del libro in Spagna e in Portogallo.

1939.


Viene inviato alla III Quadriennale di Roma, dove espone «Ritratto di Signora». Sul finire dell'anno si presenta al pubblico genovese con una vasta mostra personale presso la galleria «Genova»: 50 dipinti e un catalogo, ricco per questi tempi, con nove riproduzioni a tutta pagina. Con questa mostra Spreafico si pone all'attenzione del pubblico e della critica come pittore impegnato in una area europea, ben lontano dai provincialismi di tanta parte della pittura di quest'epoca.

1940-45.


Gli anni di guerra corrispondono per Spreafico ad una sofferta esperienza che gli suggerisce nuove intuizioni destinate a portarlo alla scoperta di nuovi valori della luce.

1940.


Lavora e collabora con M. Nizzoli. E' invitato alla VII Triennale di Milano, sezione grafica.

1941.


Ottiene la cattedra di «Figura e Pittura» all'Istituto Superiore Industriale ed Artistico della Villa Reale di Monza, che manterrà fino al 1943.

1942.


E' invitato alla XXIV Biennale di Venezia, dove gli viene assegnata una parete.
Al IV Premio Bergamo espone il quadro «La modella triste» che viene acquistato dal Ministero per la Galleria d'Arte Moderna di Roma.

1943.


Nel Marzo il sottotenente Spreafico è richiamato sotto le armi. E' il periodo più inquieto e triste della sua vita: in zona operazioni a Crotone in luglio, in novembre, contratta la malaria, è ricoverato a San Giovanni in Fiore, nell'ospedale da campo 501.

1944.


Ottiene dal comando inglese della V Armata l'autorizzazione ad «eseguire paesaggi nel territorio di giurisdizione dell'Armata». Quei quadri resteranno in mano degli Inglesi. Con la V Armata risale la penisola fino a Cassino.

1945.


Congedato il 18 giugno, ritorna a Milano, dove trova completamente distrutto lo studio di Corso Garibaldi, dispersi gli amici e i colleghi. Nel settembre conosce Ada Rusconi: inizia così un ininterrotto sodalizio ricco di affetti, di collaborazione, di lavoro.

1946.


Nell'estate Spreafico ordina una mostra personale al Palazzo dell'Arengario di Monza. E' la conferma di un gusto, di una cultura aggiornati, fuori dai limiti della provincia.

1948.


L'anno della ripresa della Biennale di Venezia: è la grande Biennale della speranza, della fede, dell'arte. 14 nazioni sono presenti al grande avvenimento: mostre di Klee, Picasso, gli Impressionisti francesi, Henry Moore, la collezione Guggenheim, Kokoschka, Schiele, Chagall, Rouault. Alla sala XX del Padiglione centrale, tra gli ammessi da una commissione composta da Carrà, Casorati, Marini, Guttuso, Manzù, Marchiori e il Presidente della Biennale G. Ponti, c'è Spreafico con l'opera «Barche in porto».
Tra i molti premi ottenuti in quest'anno (Premio Orvieto, Premio Golfo della Spezia, Premio Francavilla al Mare, Premio Città di Alessandria) è notevole il Premio San Remo ottenuto ex-equo con Salodini, Vitali, Seibezzi. Le opere, in questo Premio, non devone essere firmate, e la commissione è presieduta da F. Casorati.
Lunga permanenza di studio a Parigi.

1949.


Spreafico partecipa alla Collettiva di Palazzo Reale di Milano, al Premio Golfo della Spezia, al Premio Siena. In quest'ultimo il premio viene assegnato a Mafai, Francalancia, Omiccioli. Il premio di consolazione va a Leonardo Spreafico. La giuria allinea Maccari, Bartolini, Ciarletta, Vagnetti, Carena, Manzù, Niccoli, De Angelis, Raffaelli, Cairola. Renato Giani, però, sul romano «Giornale della Sera» (24 agosto) scatena una polemica: egli non è d'accordo con il responso dei giudici e soprattutto se la prende con L. Bartolini: «Bartolini voleva premiare Spreafico». Bartolini risponde par suo con una lettera sullo stesso giornale del 1° settembre. Una lettera che sarebbe tutta da pubblicare. Essa rappresenta un'importante presa di posizione di Luigi Bartolini, il quale non fu mai tenero (anzi!) verso le avanguardie eppure sapeva cogliere i pregi della pittura di Spreafico.

1951.


Premio-acquisto al V Premio Michetti a Villafranca al Mare. Medaglia d'oro alla IX Triennale di Milano. Il maestro è oggetto d'attenzione da parte della critica. D'altra parte basta scorrere certi notiziari dei quotidiani per accorgersi come Spreafico sappia suscitare tutti gli interessi, non soltanto quello dei critici illustri, ma anche quello dei cronisti.
Sono le doti umane di Spreafico che a questo punto dobbiamo segnalare. Artista solitario, gentiluomo senza ombre, egli ha il dono della comprensione e della generosità.
Permanenza a Barcellona dove studia e lavora.

1952.


A Sesto San Giovanni Spreafico compone una pala d'altare dedicata a San Giovanni Bosco nella Chiesa Rondinella. In questo tipo di attività artistica il nostro pittore si è sempre impegnato nell'arco della sua vita, lavorando a pale d'altare e a vetrate (33 sono le vetrate da lui composte) che sono disseminate in varie chiese lombarde, venete e pugliesi.


1953.


In questo anno viene chiamato alla cattedra di «Pubblicità» alla Scuola Superiore d'Arte del Castello Sforzesco a Milano, dove resterà fino al 1961.

1956.


Nel novembre esce il volume dedicato da Alfonso Gatto a Spreafico (edizione «Il Milione», Milano) e intitolato «30 disegni di L. Spreafico».

1959.


E' presente alla Biennale di Milano.

1960.


Cura due personali: a Milano, alla Galleria «Parete del Pino» e a Brescia alla Galleria Alberti.

1961.


Presenta una personale a Milano, al «Mür del Griso»; partecipa alla Biennale d'Arte di Venezia riportandone la medaglia d'oro; conquista la medaglia d'oro all'VIII Premio Ramazzotti.

1962.


Viene chiamato all'Istituto d'Arte «P. Toschi» di Parma a reggere la cattedra di Pittura che manterrà fino al 1970.

1963.


Spreafico è presente alla XXII Biennale di Milano.

1964.


Gli viene assegnata una sala alla Pinacoteca di Monza.

1965.


Nel giugno una mostra personale di Spreafico alla Galleria «La Vela» a Riva del Garda convince M.L.D.E. a intitolare la recensione in «Alto Adige» così: «L. Spreafico pittore d'avanguardia». Nel novembre una personale alla Galleria «Il Salotto» in Como è presentata in catalogo in una prosa ricca di sapori e di umori di Oscar Signorini. Tra i recensori della mostra c'è Mario Radice, maestro del nostro «astrattismo», che nello scritto «Un tripudio di colori nei quadri di Spreafico» accoglie con favore la mostra.
Spreafico lascia la sua mansarda di via Rugabella e la sua tenda di mussola fiorita per trasferirsi a Cinisello «a un tiro di fucile dalla sua Monza natia».

1966.


Frequente la partecipazione del maestro a mostre in Italia e all'estero.
Da Frankental (Germania) a Barcellona, da San Pellegrino a Campione d'Italia.
Ammirati soprattutto sono i suoi «Fiori».

1968.


Continuano le personali a Bargamo, Milano, Oporto, Rovereto. Dominano su tutti i «Fiori» (un articolo di M. Portalupi su «La Notte» di Milano, 27 gennaio, è intitolato «Leonardo dei fiori»).
Viaggio a lunga permanenza a Oporto dove presenta una personale. Fa parlare di sé un'opera imponente: la vetrata dell'abside della Chiesa Parrocchiale di S. Ambrogio ad Nemus in Cinisello Balsamo. Circa sei mesi di lavoro per artigiani e vetrai e 25 metri quadri di vetrata; 38 figure (altezza di S. Ambrogio m. 3,30).

1971.


Continua l'attività del pittore con varie personali, tra le quali quella di S. Giorgio Piacentino, presso «Atelieur Cravedi». A Monza espone presso la nuova Galleria «Tremisse».

1973.


A cura delle Edizioni d'Arte «Ponterosso» di Milano esce una cartella dedicata a Spreafico: «12 tavole a colori di L. S.».

1974.


Viaggio e soggiorno in Olanda, dove rivede e ristudia Rembrandt. «Mi illudevo -- disse Spreafico a questo proposito -- di conoscere alla perfezione Rembrandt, ma ora che l'ho studiato nel suo ambiente, ho sconvolto ogni mio piano e non escludo che nelle mie prossime opere mi ispiri al grande Maestro fiammingo».
In questa ancor fiorente e sempre rinnovantesi attività artistica improvvisamente Leonardo Spreafico si spegne il 15 dicembre. Riposa nel cimitero di Cinisello Balsamo.

1931.


«Il primo che mi parlò della pittura di Leonardo Spreafico fu mio padre, che insegnava all'Istituto Superiore d'Arte di Monza. Mi disse che era uno dei suoi migliori allievi, di quelli che capivano bene il concetto di forma, che non è qualcosa di statico che si possa semplicemente tramandare ed insegnare» (R. De Grada junior, L. Spreafico, Milano 1973).

1932.


«Raul Bosisio.....divide con Leonardo Spreafico il privilegio di stupire e di scandalizzare un considerevole numero di bravi cittadini.....Ahimè! Della pittura di Bosisio e di Spreafico....si può dire e pensare quel che si vuole; quel che non si può fare senza coprirsi di ridicolo .....è il sorprendersene come di cosa nuova, bizzarra, inaudita. Spreafico, comunque, .... fa un'ottima figura tra i suoi colleghi, e mostra di possedere qualità notevoli di pittore, ed una potenza interiore non ancora completamente spiegata, che consentono di ben presagire pel suo avvenire» (Biemme, in «Il Cittadino». Monza, 13 ottobre).

1933.


«Leonardo Spreafico simpatizza vivamente con le dottrine pittoriche più moderne e più azzardate, le quali hanno in gran parte ispirato l'opera sua, sebbene egli riesca ad espimersi quasi sempre con un accento personale incofondibile, con buon gusto, una eleganza ed un senso di misura veramente rari nei seguaci delle più recenti teorie pittoriche. Le sue tre meditate ed elaboratissime tele sono opera di una bella armonia coloristica, volutamente tenue e delicata, di disegno eccellente.....Nei due paesaggi.....si scopre l'impronta di un pittore originale, libero da ogni rigidezza di scuola da ogni preconcetto di tendenza, osservatore acuto, attento e commosso della natura, che subordina l'impressione immediata alla evocazione mentale e, secondo la vecchia espressione, incarna nel paesaggio uno stato d'animo.» (F. Zacchi, in «Il Cittadino», Monza 9 Novembre).
«Spreafico sembrava opporre al Novecento pneumatico e bamboleggiante un racconto pittorico in movimento e in contraddizione con se stesso, la cui aneddotica figurativa era insistentemente fissa rispetto alla dissoluta e intensa scioltezza che l'artista ne tentava con la sua stessa rapidità di tappezzare di colori la tela, d'accendere il colore dall'interno, di sfumarlo, di schiarirlo, d'avvamparlo. Una fucina secentesca la sua, ma vi bruciavano luci e fumi impressionisti, tra baleni di eloquenza liberty». (A. Gatto, in «30 disegni di L.S.». Milano, 1956).

1935.


«Il racconto dello zingaro è l'opera di un entusiasta. In essa si avvicendano pregi e difetti caratteristici di un temperamento che supera con le sue possibilità la disciplina e la maturità conquistate. Il colore è sonoro e spaziato. La composizione è ardita, come ardita e piena di cuore è tutta l'opera. Il clima è mitico, ed è creato dal colore che evade dalla realtà e dall'atteggiamento furbesco dei personaggi. Il quadro ci attrae e ci spinge poi, pieni di simpatia, verso l'artista che con esso ci fa sentire una grande promessa» (F. Pittino. in «Il Morgante», 25 maggio).

1937.


«La sua pittura calda, la pennellata attenta ed estrosa, il senso del colore, l'amore alla grande composizione e al soggetto nobile, la conoscenza del disegno e lo studio dell'anatomia fanno di lui un pittore di larghe possibilità, sia che si rivolga al cavalletto, sia che affronti le grandi pareti nel fresco e nella decorazione» (U.A. del Berti, in «La Rivista di Monza». luglio).

1939.


«Il suo accordo preferito era dal principio e rimane ancora oggi quello di un blu vivace ma intenso, elettrico ma plastico, con un giallo luminoso e alle volte fin aspro; due colori amati in coppia già di altri in ogni epoca ma non sempre gradevolmente accettabili all'occhio: la perfezione con essi dovette essere raggiunta da Vermeer. Spreafico li sente e li rende molto bene, controbilanciandoli con dei rosa delicatissimi, attenuandoli per mezzo delle vicinanze di una serie di verdi elaborati attraverso il connubbio appunto dei prediletti azzurro e giallo.....Tra gamme più personali, e tra una linea ondulante, il mondo che vi propone Spreafico, sensuale con una certa innocenza, soffice e lievemente ironico, assomiglia ad un paradiso triste e lontano, appannato dal ricordo. Un paradiso che ha un che di hawaiano e taitiano, che forse ricorda come sentimento della natura vegetale anche il doganiere di Rousseau, un paradiso con dello spleen, con Baudelaire.
Mi sono venuti questi nomi: Spreafico appartiene alla classe, che più mi piace, dei pittori colti direttamente e indirettamente. Di sicuro legge, di sicuro guarda. E da Gauguin, in special modo, da Cezanne, per alcune teste, e da Matisse sa estrarre il necessario, con saggezza, senza eccedere imitando, ma appena per esprimere con più facilità quanto crede di dover esprimere.....Una propria originalità Spreafico l'ha ottenuta, e se l'opera di altri gli giova non rimane che congratularsene....In alcune nature morte l'ebrezza coloristica diviene tale che conduce sull'orlo dell'astratto» (L. Borghese, nel «Catalogo della mostra», Genova).

1946.


«Chi volesse adeguarsi al carattere e allo stile di questo pittore dovrebbe scrivere le cartelle con una speciale calligrafia, molto slanciata nelle curve maiuscole, in specie nella lettera «S».
Dicevo queste cose al pittore Vi, il quale mi rispose quasi volesse farmi un rimprovero: A quale epoca ti riferisci circa la sua calligrafia? -- Gli risposi: All'epoca di Corso Garibaldi, ovvero alla poltrona fiorata .... -- Vuoi dire all'epoca del suo inutile viaggio a New York? -- Precisamente. -- Ma poi venne la guerra ed andò a dipingere la Calabria per i generali inglesi. -- Ebbene, questo non conta, conta la pittura. Io penso che la sua pittura sarà riconosciuta tra 25 anni circa .... Guarda, questo è il tono della lettera che scrissi ad uno dei soliti panagiristi del Novecento. il dottor H. «Sappia che il gruppo di artisti che ebbero i loro studi in via Garibaldi durante il decennio precedente la guerra furono artisti sfortunati ... perchè Pittino precedette Mafai di un paio di anni, e Spreafico precorre Guttuso ed altri romani di quattro anni. La sua tela dal titolo «Profoghi dell'Eufrate» mi sembra precorritrice nella sua data del '42. Se la esponesse a Roma, molti pittori di là potrebbero capire e farebbero inoltre ottime constatazioni». Risposta del dott. H.:«...Accetto quello che lei dice circa Spreafico. Ma fu un giovane piuttosto appartato. Quanto al suo stile, nel confronto con gli altri di via Garibaldi, mi pare fosse il solo a puntare su un certo surrealismo lirizzante. Mi è stato detto bene dei suoi tori e delle corride gialle. Che la guerra lo abbia eccitato, invece che rabbonirlo? Comunque non si arrabbi se il gruppo garibaldino non ha avuto ancora quello che si merita; vede che il tempo insegna a guardare con calma. Spreafico è fuori dal gruppo dei costituiti. Di solito l'indipendenza porta avanti.» (G. Trasanna, Causerie sulla mostra di L. S., in «D'Ars Agency», luglio 1970).

1949.


«....Spreafico si presenta con un'opera, secondo il mio modesto parere, bellissima, piena di estro; ma riuscii soltanto a fargli assegnare un premio di consolazione, consistente in parecchie rinomate bottiglie....E prendo qui l'occasione di pregare Spreafico (che conosco soltanto attraverso le sue opere, né so se sia alto o magro, basso o grasso, giovane o vecchio) di bere le bottiglie un poca anche alla mia salute ed alla salute di quell'arte italiana che, come la sua, pure essendo d'avanguaria, non scimmiotta le picassate di cinquant'anni or sono, né riscoccia le scatole con quelle cubiste, oggi più scoccianti che mai. Spreafico è un sincero artista, un artista originale quantunque egli non abbia raggiunto il suo acume; ed io sono contentissimo di avere tributato ad un collega la mia sincera ed onesta approvazione» (L. Bartolini, in «Giornale della Sera», Roma 1° Settembre).

1951.


«C'è ogni anno un certo momento in cui lo studio di L. Spreafico viene invaso da un mistico desiderio di raccoglimento. Il pittore monzese sente scendere da remote e sublimi altezze questo dolce desiderio e allora comprende che è giunta l'ora del suo annuale appuntamento con gli angeli, e per sette giorni egli dimentica uomini e cose. Come misteriosamente toccato da una sorta di grazia divina, inizia così la sua «settimana angelica». E per tutta la settimana L. Spreafico si dedica a dipingere angeli, uno al giorno, e a ciascuno di essi attribuisce un particolare significato. Lo chiamano per questo "il pittore degli angeli"». (F. Patellani «La settimana degli angeli» in «Tempo», 6-12 gennaio).

1952.


«In Spreafico il mistero, che fa tutt'uno con quella particolare staticità, con quell'attesa di conversazione, con quel movimento appena abbozzato, è un fatto che sta nell'aria; le tinte di fondo sono chiare, le pupille degli occhi hanno una fissità che finisce per dare allo sguardo un particolare velo di tristezza, le figure stesse, spesso, hanno un raccogliemento quasi statuario. Lo staticismo delle figure è un elemento del mondo di Spreafico. Si tratta di uno staticismo .....che non nega il movimento, anzi lo presuppone. Non è una staticità religiosa, è una staticità che è l'attesa....». (G. Volonterio, in «L'Azione», Lugano, settembre).

1957.


«Riteniamo che essi (i disegni) siano rivelatori non solo del substrato culturale di cui sempre è interessata la pittura di Spreafico, non solo della sua virtuosa intelligenza delle esperienze e delle tecniche, ma anche dalla verve di questo pittore: ottimo assimilatore, capace, attraverso una esuberanza di segni e di colore fortemente contrastato (il chiaro-scuro dei disegni è già colore, ed annuncia i contrasti cromatici delle composizioni pittoriche). di riproporci in modo nuovo, sintetizzandole, le esperienze dell'arte figurativa di quest'ultimo cinquantennio, non ultime quelle dei fauves» (B. M. Ugolotti, in «La Martinella», «30 disegni e un pittore capriccioso»).

1965.


«...Trascurando le grandi occasioni (nel senso goethiano del termine) della figurazione (pensiamo ad opere sue ormai entrate nella storia dell'arte del nostro tempo: al Racconto dello Zingaro, per esempio, alle Confidenze di Venere, ad alcune mirabili figure femminili) Leonardo Spreafico in questi ultimi anni si è rivolto ad una tematica apparentemente assai meno variata, meno impegnata nella direzione, della esterna sollecitazione di quei sogni.....si è rivolto, il nostro pittore, con appassionata insistenza, con sagace, poeticissimo approfondimento, come se d'altro non fosse proprio capace, alla pressoché unica, esclusiva (ma sempre apertissima a ogni suggestione della fantasia e del sentimento) immagine della flora perennemente trasfigurata dal gioco della luce, perennemente rinnovata nelle intime strutture dall'empito dell'intuizione compositiva, dalle sottili vibrazioni emozionali, dalla tensione creativa. Fiori come paesaggi, piante come figure, nature morte come folte narrazioni di umanissime vicende: questo da anni è il liet-motiv dell'opera di Spreafico....(E, a commento di quanto aveva scritto Alfonso Gatto circa i precorrimenti di Spreafico nei riguardi di altra pittura: «Ed è quanto di lui si sarebbe trovato più tardi, a opera di pittori quali Morlotti o Cassinari, nella definizione di una certa ambigua e vegetale pittura lombarda che resta figurativa soltanto per le sue latenti possibilità naturalistiche, come in un sottobosco leonardesco, anche se vi si innestano irrealtà post-matissiane e giustapposizioni fauves e picassiane nel tentativo di una riedificazione monumentale e arcaica del paesaggio e delle figure»)....Quest'ultima, acutissima illuminazione critica dovrebbe essere a lungo approfondita, e forse ampiamente dibattuta, ma ad ogni modo qui deve essere accolta a testimonianza di una libera priorità d'intuizione artistica, di posizione poetica ». (L. Budigna, «Leonardo Spreafico» in «D'Ars Agency», 20 aprile).

1966.


« La luce naturale, lombarda riveste il suo mondo di fiori e di foglie, un mondo visto da vicino, quasi nelle sue stesse fibre; il colore, la forma sono liberi e sfrenati secondo le più vere conquiste dell'arte contemporanea: forme allusive e al tempo stesso naturali, grovigli di colori puri che si precisano sempre in un'immagine passata al filtro purificatore della memoria» (G. Mascherpa, in «Gente», 12 gennaio).
«La natura ha invaso la tela in una continua metamorfosi, a volte gioiosa, a volte disperata. Le foglie, queste misteriose protagoniste della pittura di Spreafico, hanno creato un'armonia tonale che nelle grandi tele si espande a canto corale mentre si fa voce solista nelle nature morte. Anni fa le foglie erano solo semi, il loro colore era un rosa caldo, palpabile. Un tono che tradiva la crescita, il futuro sviluppo. Era una pittura allusiva, di ricordo....Ora, nel grande studio aggrappato al cielo di Cinisello, è nata sulle tele una fantastica foresta di foglie» (F. Abbiati, in «Il Giorno», 29 gennaio).

1971.


«La mostra di Spreafico ci permette qualche rilievo attorno a quel capitolo della storia dell'arte italiana del nostro secolo che riguarda i primi tentativi di rivolta contro il Novecento. Sappiamo che alcuni giovani, verso gli anni trenta, cercarono di andare verso l'Europa superando il provincialismo dell'arte ufficiale (il "Gruppo dei Sei" a Torino, Scipione e Mafai a Roma, a Milano il gruppo che con la definizione acritica è stato chiamato chiarista, gli astrattisti di Milano e del gruppo "Como". Poi verso gli anni quaranta, venne Corrente). Ma parecchi han dimenticato che nel 1930 una pattuglia di giovani si ribellò per prima al Novecento, formando il gruppo che ci par giusto chiamare (dal recapito) di via Garibaldi 89, a Milano. Quei giovani erano Spreafico, Afro, Broggini, Nivola, Pittino, Pancheri, Musso e Buffoni; e naturalmente furono particolarmente vivi in quel gruppo i fermenti della pittura di Spreafico.....Alfonso Gatto in un suo intelligente saggio su Spreafico notò anni fa che nella pittura di Spreafico furono vivi spunti di anticipazione di quel discorso che più tardi troveremo in pittori quali Morlotti e Cassinari...Gatto sottolineava questo tema, rilevando la strada che Spreafico e Birolli avevano aperto» (M. Ghilardi, in NAC, n. 5).

1973.


«Potrei prendere come capostipite Cassinari o anche Morlotti. Ebbene, perché non vedere Spreafico in questo corso maggiore dell'arte lombarda che dai Tosi, dai Gola, dai Mosè Bianchi è discesa prima ai chiaristi e poi a Cassinari e Morlotti? Spreafico mantiene una bellissima ricchezza di colori, una sognante allegoria di giardini, di sontuosità ambite e, una volta godute, indimenticabili. I quadri affocati, pieni di verve, che qui si riproducono, se vengono considerati nel contesto di una produzione in cui Spreafico è anche un ottimo pittore di figura, ci danno la giusta dimensione di un'artista lombardo sì, ma che ha tutte le condizioni per essere chiamato a rappresentare in tutta la sua importanza il corso maggiore dell'arte italiana» (R. De Grada, La forma dello stile di L. Spreafico, in «12 tavole di L. S.», Milano).